La depurazione delle acque reflue è un procedimento attraverso il quale l’acqua sporca che deriva dagli scarichi civili e da quelli industriali viene trasformata in acqua caratterizzata da un livello di pulizia sufficiente a permettere che possa essere riversata nel corpo idrico recettore, e cioè – a seconda dei casi – nel mare, in un lago o in un fiume, senza che l’ambiente sia danneggiato. In altri casi l’acqua viene scaricata in pubblica fognatura o al suolo, ma non sono poche le circostanze nelle quali viene riusata per scopi irrigui o tecnologici. In passato le acque di rifiuto erano trattate con sistemi come la fossa settica o il pozzo nero, che sono stati soppiantati da tecniche di depurazione più moderne: essi, tuttavia, vengono adoperati ancora oggi in quei contesti che sono privi di un collegamento con il depuratore o con la rete fognaria.
Che cosa sono il pozzo nero e la fossa settica
Il pozzo nero, in particolare, è un sistema piuttosto rudimentale a cui si ricorre per garantire la depurazione dei reflui: non è altro che una buca di grosse dimensioni che serve a raccogliere le deiezioni e che è munita di una condotta di afflusso. La parte solida va via via accumulandosi, e per questo motivo è necessario procedere a uno svuotamento costante, mentre i liquami possono essere dispersi nel terreno. La fossa settica, invece, consiste in un serbatoio sotterraneo le cui dimensioni rendono possibile la stagnazione del refluo per un lasso di tempo che consente ai sedimenti solidi di affondare e, così, di separarsi rispetto all’acqua. La principale distinzione tra un pozzo nero e una fossa settica va individuata nel fatto che la seconda è caratterizzata dalla presenza di una tubazione per l’emissione di acqua chiarificata, che può essere scaricata nel mare o usata come subirrigazione. I solidi non possono essere dissolti, in una fossa settica, per effetto di elementi biologici o chimici: essi, di conseguenza, degradano nel serbatoio in maniera naturale.
La situazione in Italia
Dagli anni Settanta del secolo scorso nel nostro Paese si è iniziato a prestare una particolare attenzione nei confronti della depurazione delle acque di rifiuto, come dimostra la legge Merli, vale a dire la legge n. 319 del 1976, grazie alla quale sono state definite le soglie da rispettare per la concentrazione di specifici parametri delle acque di scarico. Le Norme in materia ambientale contenute nel d. lgs. n. 152 del 3 aprile del 2006 costituiscono il quadro di riferimento normativo attuale, fermo restando che possono essere previste a livello regionale delle disposizioni ad hoc in considerazione delle specificità dei vari territori. Per i depuratori che scaricano in mare sono previste, per esempio, le condizioni impiantistiche che riguardano la profondità e la lunghezza della condotta, in modo tale che la qualità delle acque di balneazione non venga compromessa.
Lo smaltimento delle acque reflue
Ma come si svolge lo smaltimento delle acque reflue oggi? Per avere informazioni dettagliate in proposito si può navigare sul sito Waterenergy.it, che illustra il modus operandi di una realtà consolidata nel settore. In linea di massima, comunque, una filiera standard prevede la separazione dei materiali in sospensione e galleggianti, oltre alla rimozione delle sostanze disciolte; dopodiché si provvede alla trasformazione delle sostanze biodegradabili e alla disinfezione dai microrganismi. Quindi è la volta dello smaltimento dei fanghi e dei liquami, che precede il trattamento dell’aria. I trattamenti primari includono la grigliatura, la dissabbiatura, la disoleatura e l’areazione, mentre i trattamenti secondari comprendono l’ossidazione biologica e la sedimentazione secondaria, che corrisponde alla separazione della biomassa che si è formata in seguito al trattamento biologico rispetto al liquame depurato.
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